Scuola e religioni

Storia della religione o storia delle religioni? Ovvero quale convivenza?
Tre interviste. Bruno Segre: „Se i laici in Italia si perdono per strada…“


di ALDA RADAELLI

   D. Si fa un gran parlare ultimamente di cattolici, musulmani, ebrei. Sul totale della popolazione scolastica italiana, gli allievi stranieri raggiungono solo il 2%, ma in alcune classi superano il 50%. Bisogna perciò tener conto delle aspettative e delle esigenze di una scuola che diventerà col tempo sempre più multiculturale. 
   Nel contesto dei diritti/doveri di cui abbiamo parlato, qual è il compito che devono assumersi le diverse minoranze di provenienza di questi allievi?

    Segre. Vorrei rispondere su piani diversi, riallacciandomi alla conclusione di Mahmud  Elsheikh. A proposito del rapporto che esiste tra lo stato italiano e la comunità religiosa più importante, quella cattolica, non dobbiamo dimenticare che l’Italia unita si è costituita come Stato laico contro lo Stato pontificio e che le tentazioni di ripristino di un potere temporale della chiesa non si sono mai sopite. Ciò si riflette sulla scuola pubblica, che in uno Stato laico dovrebbe essere laica e basta, senza problemi. Nella scuola statale svizzera, tanto per fare un esempio di Stato laico che ospita molte religioni diverse, è prevista nei programmi scolastici l’ora di religione in termini ecumenici, oppure, a scelta dei singoli cantoni, anche una sola religione; la tendenza tuttavia si orienta sempre più verso la scelta ecumenica. Nell’articolo 7 della nostra costituzione si legge: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. 
     Il mondo cattolico italiano è molto composito: il cattolicesimo democratico attraversa come un filo rosso tutta la storia d’Italia, ma le tensioni di tipo integralista ricompaiono regolarmente, soprattutto nelle epoche in cui il mondo cattolico mostra segni di indebolimento.

D. Che effetto hanno avuto le dichiarazioni dei cardinali Ratzinger e Biffi?

S. Quanto più il mondo cattolico si sente culturalmente debole, tanto più è attraversato da tentazioni di tipo confessionale. Le manifestazioni di chiusura che traspaiono dalle dichiarazioni del cardinale Biffi e di una parte  non trascurabile del cattolicesimo italiano denotano una crisi profonda,  difficilmente mascherabile con operazioni cosmetiche come il giubileo. 
     Dover convocare due milioni di giovani a Tor Vergata su un miliardo di fedeli da tutto il mondo non è una manifestazione di forza. Questi sintomi di debolezza del modello dominante tracimano anche sulle comunità minori. Se infatti domani, sotto la spinta di Comunione e Liberazione, della Compagnia delle Opere, dell’Opus Dei, lo stato abbandonasse la partita consentendo al mondo cattolico di clericalizzare la scuola laica, avremmo scuole confessionali di musulmani finanziate dai gruppi musulmani più integralisti, avremmo una scuola ebraica sempre più chiusa a riccio dentro se stessa, e così via: il modello autoreferenziale offerto dai cattolici farebbe sì che al loro esterno ognuno facesse riferimento solo a se stesso.

D. Quale forma di pericolo presenta la cultura integralista?

S.       In realtà, tutti gli integralisti, tutti i clericali, qualunque sia la loro confessione religiosa, fanno la voce grossa verso l’esterno proprio perché stanno rivolgendo la stessa operazione prima di tutto al proprio interno: la violenza esercitata, a parole, verso l’esterno, grava prima di tutto come rafforzamento del dominio sempre più assoluto di un gruppo di potere sul resto della propria comunità di riferimento. 
     Non è detto che gruppi di potere integralisti debbano necessariamente scontrarsi fra di loro. Essi possono anche avere interesse ad allearsi: non per questo possono arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutta la società civile e contrabbandarsi per società  “multiculturale”. 

D. Abbiamo parlato finora di comunità religiose che si confrontano, che si affrontano o che creano alleanze di vertice in termini di condivisione di integralismi e abbiamo auspicato una scuola che diffonda una cultura laica. 
             Viene perciò da chiedersi: nel momento storico che stiamo vivendo, quale ruolo hanno i laici in quanto tali?

S. Ottima domanda alla quale non è facile trovare risposta. E’ chiaro che siamo 
in una fase in cui le frange laiche della cultura italiana hanno il dovere di fare un esame di coscienza, perché danno l’impressione di essersi perse per strada. 
      Un certo tipo di cultura laica, nell’immediato dopoguerra, aveva trovato una sua collocazione nel Partito d’Azione che è evaporato disperdendo il suo patrimonio umano nei vari partiti socialista, comunista, repubblicano. I comunisti hanno fatto una politica che, se pure in termini di strategia di potere si è dimostrata molto avveduta, ha pagato il suo scotto rinunciando al proprio patrimonio laico in termini di penetrazione culturale: faccio riferimento all’articolo 7 della costituzione: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Mi riferisco alla politica di Togliatti portata avanti fedelmente da Berlinguer in poi, via via fino ai rappresentanti attuali di quel partito. 

D.  Quali saranno gli sviluppi?

S.   E’ difficile fare delle previsioni oggi sui contenuti possibili di una ripresa 
 della cultura laica in Italia e nell’occidente sviluppato. Bisogna prescindere 
 completamente dalle provenienze religiose. In anni recenti abbiamo assistito ad una situazione paradossale: la testimonianza di uomini come Oscar Luigi Scalfaro, cattolico, che hanno avuto più coerenza nell’assumere posizioni laiche di coloro che si considerano gli eredi del laicismo. Basta confrontare le dichiarazioni del precedente  presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro con quelle dell’attuale presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi nel difendere la laicità dello stato contro le intrusioni vaticane. 
 Vi è da parte delle componenti della cultura italiana l’esigenza di ritrovare le ragioni del proprio esistere: un momento di verifica potrebbe essere proprio la capacità di tutelare la laicità dello Stato nell’ambito dell’istruzione pubblica.

D. Qual è la situazione a livello di ricerca scientifica e di studio?

S. C’è qualche nome di spicco: nella redazione di Micromega ritrovo   l’espressione di una rigorosa ricerca laica. Carlo Augusto Viano, ad esempio,     pubblica interventi che grondano rabbia di fronte alla crisi del suo paese, ogni     volta che si confronta con lo scacco della cultura laica. Anche la redazione di     Repubblica  ha i suoi meriti nello sforzo di diffusione di massa della cultura laica.
    Ma nel frattempo si aprono altri fronti, non meno pericolosi: il fenomeno di un’organizzazione di origine statunitense come Scientology sta facendo presa in    Italia nell’indifferenza generale: da una parte si presenta ed è stata riconosciuta   come una “chiesa” e non una setta, dall’altra parte vende i suoi prodotti “culturali” a livello di grande multinazionale, facendo leva su una strategia di penetrazione meritevole di un premio Oscar del marketing. Tutto questo in un turbinio di denunce per truffa di vario genere che pare non lascino alcun segno.

D. L’appiattimento dei livelli culturali di uno stato che ha rinunciato al messaggio laico implicito nella sua costituzione si somma così al vuoto di valori etici caratteristico di una società dei consumi come sta diventando la nostra. 
      Può essere che questo vuoto venga riempito da ideologie fascistoidi proprio in mancanza di valori di fondo reali da assumere come difesa della persona umana?

S. Sì purtroppo. Ma non colpevolizzo i ragazzi che cercano valori verso i quali convogliare le proprie forze e li trovano, in mancanza di quella base laica che abbiamo descritto, nell’ideologia più spicciola e più becera, quella fascista. La logica del branco nasce come puro e semplice bisogno di autodifesa, che viene poi strumentalizzato da gruppi di potere criminali.

D.    Come può la scuola contrastare la diffusione di simili tendenze?

S.    La scuola, intesa come agenzia di formazione, conta, su certi piani, meno delle stesse famiglie e dei mass media, privati e pubblici: così come sono gestiti, 
  questi ultimi rispondono alla logica spietata della misura della“audience” imposta dai finanziamenti pubblicitari, ma tendono anche spesso a sottovalutare i buoni livelli culturali di certe nicchie di pubblico, che vengono bellamente ignorate dalla televisione di Stato e si rifugiano nell’ascolto del terzo programma della radio, il quale peraltro ha un segnale debolissimo. 
Le famiglie, a loro volta, dichiarano spesso forfait, rinunciando ad una responsabilità specifica di trasmissione della memoria che può avvenire solo al loro interno: rinunciare a questo compito inibisce anche il futuro di chi esce da tali famiglie. 
Una persona che arriva all’età adulta senza il supporto della memoria è un soggetto a rischio, a maggior ragione quanto più impatta con la mobilità sociale e geografica in atto oggi. Un ragazzo che non ha un passato e non ha un futuro si trova a vivere in modo inconsapevole in una specie di eterno presente che lo lascia in balia di ogni soffio di vento. Il compito che spetterebbe ad una scuola veramente formativa per i ragazzi mi sembra, per assurdo, proprio quello di insegnare prima di tutto ai genitori a fare i genitori.